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Die Kollektionen

SAAL 1

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Eugenio Prati

Favretto al Liston

SAAL 2 UND 3

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Luigi Bonazza

La leggenda di Orfeo/ Rinascita d’Euridice/ Morte d’Orfeo

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Tullio Garbari

La Sibilla di Terlago

Die Kollektionen

SAAL 4

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Umberto Boccioni

La moglie di Balla con la figlia

SAAL 5

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Carlo Carrà

La carrozzella

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Ubaldo Oppi

Ritratto della moglie sullo sfondo di Venezia

SAAL 6

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Felice Casorati

Beethoven

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Mario Sironi

Il povero pescatore

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Massimo Campigli

I costruttori

SAAL 7

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Luigi Russolo

Intonarumori

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Gino Severini

Cannoni in azione

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Luigi Russolo

Profumo

SAAL 8

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Tullio Crali

Duello aereo

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Enrico Prampolini

Sentimento plastico marino

SAAL 9 UND 10

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Bruno Munari

Otto colori in un quadrato

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Fausto Melotti

Clorinda

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Eugenio Prati (Caldonazzo, TN, 1842 – 1907)
Favretto al Liston, (1893-1894)
Olio su tela, 100 x 208 cm
Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto
Collezione private

La nostra visita inizia da un’opera di un pittore trentino chiamato Eugenio Prati. Lo ha dipinto più di un secolo fa, ma forse l’avevi già capito dagli abiti che indossano le persone ritratte nel suo quadro, molto diversi da quelli che si usano oggi.
La scena è affollata e puoi esplorarla con lo sguardo per scoprire i numerosi particolari che contiene. Non è facile capire quali sono i personaggi principali ma voglio darti un indizio: il Favretto del titolo era un pittore veneto amico dell’artista che ha creato quest’opera. Riesci a indovinare dov’è? È il signore con il cappello a bombetta e la barba nera dietro la coppia di donne con gli scialli colorati!
Ora, forse, ti starai chiedendo cosa o chi è il Liston di cui parla il titolo dell’opera…così i veneziani chiamano la pavimentazione in pietra della più famosa piazza della città, la conosci? Se osservi lo sfondo del dipinto puoi vedere un pezzetto della famosa Basilica di San Marco a Venezia!
A passeggio sul Liston ci sono molte persone: donne del popolo con gli zoccoli e gli scialli e signore borghesi con vestiti eleganti e cappellini, un uomo che porta con sé una chitarra, una ragazza che dà da mangiare ai colombi e un ragazzino che la osserva, una bambinaia che aiuta una bambina piccola a muovere i suoi primi passi, un uomo che fuma la pipa, una signora che si china ad ammirare un grande pizzo bianco che cattura la luce e un’altra che stringe la mano a un conoscente che si è tolto il cappello per salutarla. Accanto a questa signora c’è una bambina: indossa stivaletti e berretto nero e tiene le mani nelle tasche del cappottino. Se ci pensi bene, capirai che ha qualcosa di speciale: è l’unica persona nel quadro a guardare verso l’osservatore. Forse sta guardando proprio te!

Luigi Bonazza (Arco, TN, 1877 – Trento, 1965)
La leggenda di Orfeo/ Rinascita d’Euridice/ Morte d’Orfeo, 1905
Olio su tela,
Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto
Deposito SOSAT

Orfeo è il nome del giovane protagonista della storia narrata in questo dipinto. L’artista ce lo presenta nel riquadro centrale mentre suona la lira, un antico strumento dal suono dolce che tanto piaceva ai greci. Orfeo era un musicista e poeta talmente bravo che le sue canzoni riuscivano a calmare le tempeste e gli animali feroci. L’arte gli dava un grande potere!
Orfeo sposa una bellissima ninfa di nome Euridice ma il loro amore ha vita breve: un giorno lei viene morsa da un serpente velenoso e muore. I greci pensavano che tutti, dopo la morte, finissero in un luogo chiamato “Ade” ed è lì che il nostro eroe decide di andare a cercare la sua amata. L’ingresso nel regno dei morti è proibito ai vivi ma Orfeo usa la magia della sua musica per convincere il Cerbero, il mostruoso cane a tre teste posto a guardia dell’Ade, a lasciarlo entrare. Hai riconosciuto il Cerbero nel dipinto? Si trova nel riquadro di sinistra, dipinto interamente con i colori della notte per indicare il buio che regna in quel luogo.
Con il suo canto Orfeo commuove anche Ade e Persefone, rispettivamente re e regina degli inferi, convincendoli a far tornare in vita Euridice. Ma a una condizione: “non girarti mai a guardarla fino all’arrivo nel regno dei vivi, altrimenti lei rimarrà tra i morti” gli dicono. Il pittore rappresenta il cammino di Orfeo ed Euridice ripetendo le loro figure due volte, mentre risalgono l’Ade. Purtroppo lui si girerà troppo presto, perdendola una volta per tutte.
E il riquadro di destra? La presenza della luce del sole ti fa capire che la scena è ambientata nel mondo dei vivi e se osservi la figura sdraiata puoi riconoscere il drappo rosso di Orfeo. Come spesso succede negli antichi miti, esistono più versioni della fine della storia e l’artista ha scelto di rappresentare la morte del protagonista.

Tullio Garbari (Pergine Valsugana, TN, 1892 – Parigi, 1931)
La Sibilla di Terlago, 1930
Olio su tavola, 150 x 150 cm
Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto
Provincia autonoma di Trento – Soprintendenza per i beni culturali

Terlago è un paese tra le montagne trentine, la regione dove è nato il pittore Tullio Garbari. Sai cos’è una Sibilla? Nel mondo greco e romano le Sibille prevedevano il futuro, facevano profezie e fornivano risposte spesso difficili da comprendere.
La Sibilla dipinta da Garbari è proprio al centro della rappresentazione, davanti a un tempio antico. Cosa sta facendo? …Pronuncia la sua profezia accompagnata da una presenza divina che esce dal tempio in forma di nuvole sospinte dal vento. L’architettura del tempio e la figura della Sibilla appartengono al mito e alla storia dell’antica Grecia, ma in questo quadro puoi riconoscere anche dei simboli cristiani. Sopra il tetto, infatti, puoi vedere un angelo che tiene in mano uno scudo su cui è scritto, in latino, “l’amore dei giusti” e degli angioletti che portano una croce di legno.
Tutto intorno, la campagna è abitata da animali al pascolo e da un pastore che suona il flauto davanti a un cesto pieno d’uva: probabilmente un’offerta per il Dio Apollo. Il mito racconta che la Sibilla era una bellissima fanciulla scelta dal dio Apollo, che pur di averla le promise l’immortalità. Sibilla, infatti, gli chiese di vivere tanti anni quanti i milioni di granelli di sabbia racchiusi nel pugno della sua mano, ma dimenticò di pretendere anche l’eterna giovinezza! Per questo dovette vivere in eterno con un corpo invecchiato, mentre la sua voce profetica si mantenne forte e chiara.

Umberto Boccioni (Reggio Calabria, 1882 – Sorte, VR, 1916)
La moglie di Balla con la figlia, (1906)
Pastello su carta, 96,5 x 71 cm
Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto
Provincia autonoma di Trento – Soprintendenza per i beni culturali

Una mamma e la sua bambina seduta su un seggiolone: ecco le protagoniste di questo quadro! Si tratta della moglie dell’artista Giacomo Balla e della figlia Lucia, che in seguito il padre vorrà chiamare Luce: un nome d’ispirazione futurista. Balla, infatti, era il maestro del pittore Umberto Boccioni, autore di quest’opera. Da lui l’artista ha imparato a disegnare e dipingere alla maniera divisionista, con tanti tratti o pennellate intrecciate che mescolano i colori sulla tela anziché sulla tavolozza. In questo modo, i colori sembrano fondersi quando si guarda l’opera da una certa distanza. Qualche anno dopo, Balla e Boccioni saranno tra i protagonisti di una nuova tendenza artistica, il Futurismo, di cui ti parlerò un po’ più avanti.
Boccioni, perciò, conosceva bene la famiglia del suo maestro e qui ritrae la signora Balla e la sua bambina in un momento della loro vita quotidiana: quale secondo te? Il piatto sul tavolo fa pensare al momento del pasto, ma la bambina non indossa il bavaglino che invece è appeso al bracciolo del seggiolone. Forse ha già finito di mangiare, oppure sta aspettando che qualcuno porti il cibo in tavola.
Una delle cose che interessano maggiormente gli artisti divisionisti è la luce. Osserva bene questo disegno a pastello: da che parte arriva la luce? E quali colori ha usato Boccioni per rappresentarla?

Carlo Carrà (Quargnento, AL, 1881 – Milano, 1966)
La carrozzella, 1916
Olio su tela applicata su compensato, 51,5 x 66,5 cm
Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto
Collezione VAF-Stiftung

In questa sala c’è un piccolo quadro che sembra dipinto da un bambino. Rappresenta una carrozzella trainata da un cavallo e guidata da un cocchiere, con una casetta sullo sfondo. È un’immagine semplice, composta da poche figure e oggetti dai tratti stilizzati, inseriti in uno spazio chiaro e uniforme così che sembrano galleggiare in uno spazio vuoto. Ma non è l’unica stranezza di questo dipinto. Se fai attenzione ti accorgerai che manca qualcosa: il cocchiere non tiene in mano le briglie e perciò… come può guidare il cavallo? E nemmeno la carrozza è legata all’animale! Sembra proprio che non possa andare da nessuna parte! Eppure, il pittore ha dipinto le ruote in modo da dare l’impressione che stiano girando: i raggi non si vedono, sostituiti da una leggera sfumatura proprio come quando le ruote si muovono a gran velocità.
Carrà ci mostra un mondo bizzarro, un po’ magico, dove il tempo sembra sospeso. E lo fa ispirandosi all’arte degli antichi maestri come Giotto e Masaccio, vissuti secoli prima di lui. Anche la superficie ruvida dello sfondo ricorda un po’ gli affreschi antichi.

Ubaldo Oppi (Bologna, 1889 – Vicenza, 1942)
Ritratto della moglie sullo sfondo di Venezia, 1921
Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto
Collezione VAF-Stiftung

In questo dipinto l’artista ha ritratto sua moglie Adele, da lui soprannominata affettuosamente Dhely, sullo sfondo di Venezia. Oppi l’aveva sposata nello stesso anno in cui ha dipinto questo quadro, due anni dopo averla conosciuta. Dhely è ritratta in molte altre opere di Oppi ma qui appare in tutto il suo splendore, vestita con un elegante abito di velluto azzurro bordato di piume che si intona al colore del mare alle sue spalle. Posa appoggiando una mano ingioiellata al parapetto di una terrazza che si affaccia su uno dei luoghi più pittoreschi del mondo: il Canal Grande con i palazzi e il campanile di San Marco. Più di un secolo fa, quando è stata dipinta questa tela, i canali veneziani non erano affollati di barche a motore come oggi e per questo l’artista ha rappresentato solo imbarcazioni a vela e gondole che passano lente. I colori sono splendenti e l’atmosfera è quasi fiabesca: una Venezia magica e bellissima come la sua amata Dhely.

Felice Casorati (Novara, 1883 – Torino, 1963)
Beethoven, 1928
Olio su tavola, 139 x 120 cm,
Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto
Collezione VAF-Stiftung

A proposito di atmosfere sospese e un po’ misteriose… Ecco un’opera dove la realtà sembra essere stata toccata da un incantesimo!
Il suo autore è un pittore torinese di nome Felice Casorati. Anche lui, come Carrà, amava molto la pittura antica e, in particolare, le opere di Pietro della Francesca, vissuto nel Quattrocento.
Il quadro è intitolato Beethoven, come si legge sullo spartito appoggiato su uno sgabello. Beethoven, infatti, è il nome di un celebre compositore di musica classica e lo spartito apparteneva a Casorati che aveva l’abitudine di suonare il pianoforte ogni sera.
L’artista ha ritratto una bambina vestita di bianco nel suo studio, un luogo sempre pieno di cose, tra cui questo quaderno di musica. Un altro oggetto che l’artista teneva nello studio è il cagnolino di ceramica che qui sembra far compagnia alla bambina. Lo avevi scambiato per un vero cane? Non deve stupirti, visto che Casorati dipinge tutto allo stesso modo: persone in carne e ossa e oggetti inanimati. La bambina, infatti, è immobile come il finto cagnolino e il grande specchio alle sue spalle ne raddoppia l’immagine aumentando il senso di irrealtà della scena.
Questo modo di dipingere è stato definito Realismo magico, unendo due parole diversissime tra loro: realtà e magia. Perché la realtà che Casorati ci mostra sembra immersa in un’atmosfera incantata e un po’ misteriosa.

Mario Sironi (Sassari, 1885 – Milano, 1961)
Il povero pescatore, (1924-1925)
Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto
Collezione L.F.

Che cosa ha portato in tavola questo pescatore? La sua deve essere stata una misera pesca visto che nel piatto c’è solo un piccolo pesce! Forse per questo motivo quest’opera è intitolata Il povero pescatore.
Osserva l’espressione del suo viso: ti sembra triste, stanco, preoccupato? Le sue mani sono ancora al lavoro sulla rete che ha usato per pescare ma lo sguardo è rivolto da un’altra parte, forse sta fissando qualcosa che è fuori dal quadro. La scena è ambientata in una stanza dalle pareti spoglie, arredata con un semplice tavolo su cui sono posati il piatto e una brocca di terracotta: un ambiente semplice, privo di lussi e di comodità.
Ora osserva i colori scelti dal pittore: sono quelli caldi delle terre, come il marrone, l’ocra e il rosso mattone, scuriti dalle ombre che fanno da contrasto alle parti colpite dalla luce, come il piano del tavolo e lo spigolo del muro. Grazie alle ombre, Sironi fa risaltare la muscolatura del corpo e la figura del pescatore sembra essere stata modellata nella creta, plasmata come una scultura.

Massimo Campigli (Berlino, 1895 – Saint Tropez, 1971)
I costruttori, 1928
Olio su tela, 162 x 114 cm
Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto
Collezione VAF-Stiftung

Chi sono I Costruttori di Massimo Campigli? Cosa stanno fabbricando?
Osservando questo dipinto puoi capire quanto sia cambiato, nel corso del tempo, il modo in cui vengono costruite le case. Quando l’artista l’ha creato, quasi un secolo fa, i muratori non avevano a disposizione i moderni mezzi meccanici che si vedono oggi nei cantieri. I materiali venivano trasportati a forza di braccia o issandoli con l’aiuto di corde e carrucole, arrampicandosi su ponteggi costruiti sul posto con pali di legno.
Nel quadro l’artista ha rappresentato tre gruppi di uomini al lavoro: c’è chi solleva, chi tira, chi fa leva per spostare un blocco pesante. Le figure si muovono in uno spazio suddiviso in modo ordinato, dove la scala, i muri, i solai e i ponteggi seguono linee ortogonali, cioè linee orizzontali e verticali che si incrociano.
Campigli usa le forme dell’architettura come elementi geometrici che ritmano la composizione del quadro. Anche gli operai sono rappresentati con forme sintetiche e massicce, privi di volto e quindi identità. Le loro azioni e i loro movimenti si inseriscono all’interno di queste geometrie come parti di un ingranaggio.
Ordine, equilibrio, semplicità sono caratteri tipici della pittura di Novecento italiano, una tendenza artistica che si sviluppa negli anni tra le due guerre mondiali e di cui puoi vedere altri esempi in questa sala.

Luigi Russolo (Portogruaro, VE, 1885 – Cerro di Laveno, VA, 1947)
Intonarumori, 1914 (ricostruzione del 2006)
Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto

Ti stai chiedendo che cos’è questo strano oggetto di legno? Se ti fa pensare a un altoparlante sei sulla strada giusta! Si tratta, infatti, di uno degli Intonarumori inventati dall’artista e musicista Luigi Russolo più di un secolo fa.
Come tutti i futuristi, Russolo amava la modernità e voleva fare qualcosa di completamente nuovo per proiettarsi nel futuro. Perciò compone e suona musica “rumorista”, dove trovano posto i suoni della città, delle fabbriche, dei mezzi motorizzati…grazie a dei nuovi strumenti che prendono il nome dal rumore che producono. Questo qui, per esempio, è un Frusciatore/stropicciatore.
Avvicina l‘orecchio al cono nero: senti niente? Certo che no! Per farlo funzionare dovremmo poter girare la manovella, un po’ come si fa con i carillon. Ma gli Intonarumori sono troppo fragili per poterli usare tutti i giorni perciò si possono ascoltare solo in occasioni speciali, come nei concerti dove questi strani strumenti vengono suonati insieme a quelli più tradizionali di un’orchestra.

Gino Severini (Cortona, AR, 1883 – Parigi, 1966)
Cannoni in azione, 1915
Olio su tela, 50 x 61,5 cm
Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto
Collezione VAF-Stiftung

“szszszszszszszs, bbboumm, froufroutements, vibrations.”
Ecco il fracasso assordante dei Cannoni in azione che il pittore futurista Gino Severini ha voluto rappresentare con immagini e parole, intrecciando linguaggio visivo e verbale. Alcune parole sono francesi, poiché quando ha dipinto questo quadro l’artista viveva a Parigi già da molti anni. Alcune sono, invece, dei semplici suoni come quelli che si leggono nei fumetti. Sai come si chiamano queste parole-suono? ….Onomatopee! Gli artisti futuristi ne andavano pazzi e le usavano anche nelle loro poesie.
Severini non si accontenta di rappresentare i cannoni durante una battaglia della Prima Guerra Mondiale, ma vuole esprimere tutta la confusione, l’azione e la potenza distruttrice della guerra. Per i futuristi, almeno all’inizio, la guerra è simbolo di energia, di forza, di slancio vitale e corrisponde alla loro voglia di azione, dinamismo e cambiamento.
L’artiglieria è al centro dell’immagine, da cui partono le traiettorie delle parole e delle linee di forza dipinte dall’artista. Tutto si mescola per rendere il caos della battaglia: il fumo, le fiammate, i proiettili, i boati delle esplosioni e le vibrazioni che fanno tremare la terra. Le parole raccontano molteplici sensazioni: uditive, tattili, olfattive, visive. Perché la guerra sconvolge i sensi con la violenza dei suoi suoni, movimenti, odori e colori.

Luigi Russolo
Profumo, 1910
Olio su tela, 65,5 x 67,5 cm
Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto
Collezione VAF-Stiftung

Come immagini di poter rappresentare un profumo? Che cos’è il profumo se non un aroma gradevole prodotto da sostanze naturali o preparazioni artificiali?
In questo quadro, Luigi Russolo ha voluto rappresentare il senso dell’olfatto. Non è facile dare forma a qualcosa che forma non ha! Secondo te ci è riuscito?
Vediamo come ha fatto: l’artista rende l’atmosfera inebriante dell’aroma servendosi di un’onda di pennellate multicolori. Al centro del dipinto si vede il profilo di una donna con gli occhi chiusi, estasiata dal profumo che sta inalando. Ma le vere protagoniste dell’immagine sono le pennellate luminose che l’avvolgono e si fondono con la sua figura.
In questo dipinto ritroviamo la tecnica del colore diviso, usata anche dagli artisti futuristi come Russolo. Grazie a questi filamenti di colore, l’aria impalpabile si trasforma in materia che si vede e si sente, tracciando il movimento del profumo che si espande nell’atmosfera, raggiunge le narici della donna, provoca in lei delle sensazioni.
Osserva quali colori ha scelto il pittore per rappresentare tutto questo: giallo, verde, azzurro…a quali profumi ti fanno pensare queste tinte?

Tullio Crali (Igalo, 1910 – Milano, 2000)
Duello aereo, 1929
Olio su cartone su tavola, 49×68
Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto

Tullio Crali era un aeropittore, cioè un artista con la passione del volo. Cent’anni fa volare era ancora una cosa che facevano in pochi e l’aeroplano rappresentava, per gli artisti futuristi, un’attrazione irresistibile. Poiché adoravano la velocità e la modernità, l’aero costituiva il mezzo di trasporto ideale!
L’esperienza del volo è stata fondamentale per Crali: gli ha permesso di sperimentare una nuova visione, più dinamica e senza punti di riferimento fissi. Quando ci muoviamo sulla terra – in moto, in auto, in treno o persino in barca – la linea dell’orizzonte rimane fissa, mentre dal cielo il paesaggio può apparirci capovolto e cambiare a seconda dei movimenti dell’aeroplano.
L’artista sviluppa così una visione dove non c’è più un sopra e un sotto e le forme tendono all’astrazione. Duello aereo, il quadro che stai guardando, rappresenta le traiettorie, le scie e il fumo del motore di due aerei che si sfidano nei cieli. Ciò che non si vede sono proprio i due velivoli e tuttavia ne avvertiamo la presenza. L’artista ha voluto spostare la nostra attenzione dall’oggetto in sé al movimento che esso produce nello spazio, alla sua pura energia dinamica.

Enrico Prampolini (Modena, 1894 – Roma 1956)
Sentimento plastico marino (Automatismo polimaterico B), 1937
Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto
Collezione VAF-Stiftung

A chi non piace raccogliere conchiglie, rametti o sassolini sulla spiaggia? Scommetto che anche tu, qualche volta, hai portato a casa dei piccoli ricordi di viaggio…
Guarda cosa ha trovato l’artista Enrico Prampolini: cose preziose e rare come il cavalluccio marino e il pezzetto di madreperla e cose che forse altri avrebbero buttato via, come un filo di ferro, un pezzo di sughero e un anello di plastica. Con la sua fantasia Prampolini ha trasformato questi oggetti in un’opera che ci parla del mare: il cerchietto bianco legato al filo ricorda un salvagente, il sughero un galleggiante per la pesca, la sabbia incollata sul quadro pare quella di una spiaggia, mentre il gesso è scolpito in modo da sembrare uno scoglio. Il risultato è una specie di paesaggio marino o meglio, come dice il titolo dell’opera, “un sentimento plastico marino”. Questo piccolo quadro, infatti, contiene tutta l’emozione di una passeggiata sulla spiaggia, alla ricerca di piccoli tesori da conservare.

Bruno Munari (Milano, 1907 – 1998)
Otto colori in un quadrato, 1933
Olio e tempera su tela, 151 x 60 cm
Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto

Siamo arrivati quasi alla fine del nostro percorso. Guardati intorno: cosa c’è di diverso nelle opere esposte in questa stanza rispetto a prima? …Sono tutte opere astratte! Come Otto colori in un quadrato, un quadro dipinto da Bruno Munari, un artista e un designer interessato al mondo dell’infanzia, spesso ispirato dalla fantasia dei bambini.
Ma cos’è l’arte astratta? All’inizio del secolo scorso alcuni artisti hanno cominciato a dipingere forme diverse da quelle che si vedono nella realtà: forme pensate e inventate anzi che osservate e copiate. Le forme geometriche, per esempio, sono frutto della mente umana e in quest’opera ne puoi vedere alcune, come il quadrato di cui parla il titolo e i triangoli colorati al suo interno.
Così Munari definisce l’importanza di questa forma:
“Alto e largo quanto un uomo con le braccia aperte, il quadrato sta, nelle più antiche scritture e nelle incisioni rupestri dei primi uomini, a significare l’idea di recinto, di casa, di paese. Enigmatico nella sua semplicità, nella monotona ripetizione di quattro lati uguali, di quattro angoli uguali, genera tutta una serie di interessanti figure….”.
L’artista gioca con gli equilibri tra le forme: la grande macchia gialla è in bilico su un triangolo bianco e nero molto appuntito, mentre il quadrato colorato si rispecchia nel quadrato nero che si apre nel dipinto come una finestrella. Quello che sta sotto sembra un po’ più piccolo dell’altro, vero? Ma è solo un’illusione ottica!.

Fausto Melotti (Rovereto, TN, 1901 – Milano, 1986)
Clorinda, 1973
Ottone, rame e tessuto, 152 x 100 x 45 cm
Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto
Provincia autonoma di Trento – Soprintendenza per i beni culturali

Eccoci all’ultima opera che voglio mostrarti: Clorinda, una scultura dedicata a uno dei personaggi del poema Gerusalemme liberata di Torquato Tasso, un libro scritto alla fine del Cinquecento. Clorinda era una guerriera saracena di cui si innamora l’eroe Tancredi, che per errore la uccide in battaglia, non riconoscendola sotto l’armatura.
Pur essendo astratto, il lavoro di Fausto Melotti ha la capacità di narrare storie evocando personaggi fantastici, mitici o letterari. In questa scultura puoi riconoscere alcuni elementi che rimandano alla storia di Clorinda: l’ovale di rame sospeso a una catena ricorda lo scudo portato in battaglia, le leggere strisce di tessuto sottolineano la fragilità della vita, l’esile freccia in precario equilibrio è forse il dardo che l’ha colpita.
L’artista, originario di Rovereto, è stato uno dei grandi innovatori della scultura moderna. Le sue opere, infatti, hanno un aspetto molto diverso dalle sculture tradizionali in pietra, legno o bronzo, dalle forme piene e pesanti. La scultura di Melotti invece è leggera e sottile e disegna forme nello spazio vuoto.
Siamo giunti alla fine del percorso. Spero che le opere che ho scelto di mostrarti ti siano piaciute!